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  1. #41

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    L'equazione della ricchezza: la variabile Ogni intervallo di tempo considerato presen

    Buongiorno a tutti.

    In un precedente intervento eravamo arrivati a scrivere l'equazione semplificata della ricchezza, nei termini (R3):

    Wt = Yt + (Yt ∙ Φt ∙ Ψt),

    Ciò significa che la ricchezza, W, dipende e dal reddito, Y, e da altri due parametri. Il primo, Φ, è quello che inizieremo ad analizzare oggi.

    Noi sosteniamo che il reddito reale, Y, determina la ricchezza dell’individuo, W, nella misura in cui gli conferisce potere economico. Il concetto è questo: un ugual reddito reale - quindi scontando sia l'inflazione sia il diverso potere d'acquisto in luoghi e tempi diversi - può corrispondere ad un diverso potere economico a seconda di come è caratterizzata la realtà circostante. Il denaro, si capisce, fintantoché non è trasformato in beni o servizi rimane una misura di ricchezza teorica; la ricchezza reale consiste allora in ciò che si può effettivamente acquistare con quel denaro. Qui interviene quel che si chiama potere economico.

    Il potere economico può variare nel tempo o nello spazio. Facciamo un esempio di scuola: se in una località si impianta una fabbrica, e questa dà da lavorare agli abitanti di quel luogo, essi nel giro di qualche tempo vedranno aumentato il loro reddito medio. Ma se tale fabbrica, per esempio, inquina le acque del fiume in cui fino ad allora gli abitanti si bagnavano, o lavavano i vestiti, ed ora non possono più farlo, il loro potere economico è declinato; la ricchezza reale dovrà quindi tener conto di questi due fatti.

    La misura quantitativa di un reddito, pesata sul livello dei prezzi, è comunemente
    detto potere d’acquisto; considerando l'evoluzione della dinamica in un singolo paese, parità di potere d'acquisto significa parità di reddito reale. Pensando all'Italia, nel periodo 1970 – 2007 il PIL reale è aumentato di circa il 128,2%; essendo la popolazione aumentata di circa il 10%, si può dire che il reddito medio annuo reale sia aumentato di circa il
    107,4%.
    Ricordando la (R3), notiamo che la concordanza tra aumento di reddito reale – “Y” – e aumento di ricchezza – “W” – è un caso particolare tra i vari possibili; quello conseguente
    alla situazione in cui (IV.6):

    Φt = 0; ∀ t del periodo analizzato

    ovvero all'evenienza che le condizioni economiche contingenti, influenti sul potere economico individuale, rimangano invariate al variare del reddito reale, durante il processo di sviluppo. Non è dunque detto che il cittadino medio italiano, pur avendo beneficiato d'un aumento di reddito nell'intervallo considerato, sia effettivamente più ricco che all'inizio del periodo, poiché la realtà circostante – palcoscenico dell'attività economica e terreno dove si forma l'utilità – potrebbe essersi deteriorata in modo tale da vanificare la maggior possibilità di spesa; quantomeno è probabile che non si sia arricchito in misura eguale all'aumento di reddito reale.

    Per comprendere la questione è bene considerare che il processo di sviluppo economico ha due connotati: uno positivo – che chiameremo "miglioramento" –, ed uno negativo – che chiameremo "danno". Queste due forze dello sviluppo sono perennemente in moto nel sistema di mercato moderno, e, pertanto, ci deve interessare la tensione che si ingenera tra esse.

    Per usare una metafora, mentre da un lato viene continuamente srotolato un tappeto rosso anticipando la marcia del consumatore, esso viene costantemente riavvolto alle sue spalle; gli indicatori economici si occupano solamente di misurare quanto tappeto viene srotolato, ma non considerano mai la superficie srotolata totale, che potrebbe invero ridursi anche in periodi di energico srotolamento frontale.

    Dunque, due redditi reali identici possono riprodursi in valori diversi di potere economico, ciò dipendendo dalle caratteristiche qualitative della dinamica che ha prodotto quei redditi; analogamente, due livelli di reddito differenti posso significare uno stesso potere economico.

    Ogni intervallo di tempo considerato presenta uno sviluppo economico nel senso da noi inteso – non rilevando, per quanto ci riguarda, il fatto che si tratti di un periodo di crescita o di recessione crematistica –, e perciò in ogni caso è immaginabile un saldo tra danno e miglioramento. La variabile Φ tiene conto di ciò.

    Nei prossimi interventi specificheremo ulteriormente il concetto.

    Mi scuso se ho tardato una settimana a preparare questo intervento; d'ora in poi mi faccio onere di tenere il ritmo stabilito di un intervento per settimana.

    Rimango a disposizione per ogni chiarimento.

    Alla prossima!

  2. #42

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    C'è stato un errore nel titolo della precedente.
    Volevo scrivere:

    L'equazione della ricchezza:la variabile Φ

    Ancora un saluto

  3. #43

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    Andrea, ti ringrazio per il lavoro che stai portando avanti.
    Sono temi di difficile comprensione e trovare una persona che riesci a chiarirli senza banalizzarli è una gran bella ricchezza!
    Appena avrai letto questo messaggio lo cancellerò per evitare di interrompere la sequenza dei tuoi messaggi.
    Desideravo però farti sapere che c'è chi continua a leggerti con grande attenzione.
    - Felix qui nihil debet -

  4. #44

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    L'equazione della ricchezza:la variabile Φ (parte 2)

    Buongiorno a tutti!

    Continuamo la spiegazione della variabile del potere economico, che come detto è in sostanza il saldo tra danno e miglioramento. (Il modello che era nato in inglese utilizzava il termine improvement, che suona più professionale di "miglioramento", ma non dobbiamo farci trarre in inganno da queste quisquiglie lessicali).

    Dunque, il miglioramento sconta, a livello ideale, i) le maggiori possibilità di acquisto e ii) i minori prezzi dei beni che ci vengono dall'innovazione tecnica, commerciale, amministrativa; ad esempio verso la fine degli anni 1990 era possibile spostarsi in Europa con voli low-cost, cosa che non si poteva fare all'inizio del periodo considerato; tale è un esempio di progresso nella terminologia adottata.
    Il danno tiene conto i) della sopraggiunta rarità di certi tipi di beni, con conseguente aumento di prezzo, ii) della loro scomparsa, iii) della necessità di pagare per servizi prima gratuiti; ad esempio nell'intervallo considerato in Italia si è ridotto fortemente il mercato della riparazione meccanica, così da rendere più costosa la manutenzione degli strumenti acquistati negli anni precedenti, obbligando al limite il consumatore a sostituirli; questo, nella nostra terminologia, è un esempio di danno.


    Per fornire esempi ulteriori, che sempre aiutano a capire, per quanto riguarda la categoria dei danni, relativamente alla tipologia i), possiamo pensare a molta parte della produzione alimentare: un pollo impiega naturalmente quattro o cinque mesi prima di raggiungere la stazza necessaria ad essere convertito in alimento, mentre la durata media della
    vita d'un pollo allevato industrialmente è di cinque settimane – periodo in cui viene ingigantito con ormoni, nonché protetta la sua salute squilibrata da una continua assunzione di antibiotici. Il consumatore che intendesse trarre alimento dalla popolazione avicola riscontra un danno ascrivibile al tipo i), “sopraggiunta rarità di certi tipi di beni e conseguente aumento di prezzo”, volendo intendere come bene, in questo caso, il pollo naturale.
    “Per quanto riguarda la produzione di uova e di carne da pollo, l'aumento straordinario della produttività del lavoro e l'impiego di mangimi ad alto potere nutritivo, hanno fatto aumentare la produzione e cadere i prezzi” (Hallet, G., Economia e Politica del Settore Agricolo, il Mulino, Bologna, 1983, pag.59). L'inefficacia dell'approccio istituzionale appare in questo caso in tutta la sua flagranza: la meccanizzazione dell'allevamento
    ha, sì, ridotto il costo di molti beni, ma ne ha alterato fondamentalmente la qualità (fino al punto in cui è impossibile fare una seria comparazione: i polli da allevamento industriale sono un bene differente rispetto al pollo ruspante, e non ha alcun senso indagare i volumi complessivi di produzione, scambio e consumo tra beni non assimilabili). In definitiva,
    per comperare un pollo, che sia ontologicamente un pollo, sono serviti nel tempo più denari che in passato.
    Un altro esempio analogo si può proporre pensando alla città di Southampton, che abbiamo avuto modo di conoscere personalmente nel periodo 2007-2008: in detta città nessun negozio impasta più la farina con l'acqua ed il lievito, al fine di ottenere pane fresco. I punti vendita delle grandi catene distributive ricevono le forme congelate, e si occupano soltanto della cottura, così che il consumatore che volesse mangiare del
    pane – e non del pane congelato – dovrebbe comprarsi un forno a legna e farselo da sé, oppure affrontare un lungo viaggio in macchina.
    Rarissimi e cari sono diventati i servizi di riparazione dei beni un tempo durevoli, come le calzature o i vestiti; così come la componentistica meccanica necessaria per l'uso ordinario di apparecchi prima comuni, come ad esempio quelli che hanno a che fare con la registrazione di immagini e suoni tramite pellicola – con cui concludiamo la sezione degli
    esempi ascrivibili al danno di tipo i).

    La scomparsa dal mercato di certe tipologie di beni, corrispondente al danno di tipo ii), è il caso estremizzato di quello descritto in precedenza. Ci sono ad esempio apparecchi meccanici di altissima qualità che necessitano particolari batterie, oggi non più prodotte da nessuno; tali beni perdono completamente o in parte il loro valore, e ciò è un danno del tipo ii). Ma siccome normalmente il sistema di mercato attuale consente l'acquisto di quasi tutti i tipi di beni prodotti nel passato (anche se a prezzi spesso più alti), tale categoria si ingrossa specialmente pensando alla scomparsa delle così dette utilità libere: tutti i danni irreparabili dell'ambiente, così come lo stravolgimento dell'armonia del paesaggio e delle consuetudini sociali, si ascrivono al tipo di danno in oggetto.

    I danni derivanti dalla necessità di pagare per servizi un tempo esclusi dal circuito del mercato – tipologia iii) – sono facilmente individuabili dallo studio della vita quotidiana. Per fare un esempio, in un modello sociale come quello valido a descrivere la realtà italiana fino all'inizio degli anni 1980 – e tutt'ora valido per intendere paesi meno evoluti –, il
    servizio di custodia dei figli, che permette ai genitori di godersi una serata a teatro, al cinema, etc., non era generalmente oneroso, poiché si basava sui rapporti di reciprocità sociale che ancora permanevano a fianco dei rapporti di mercato. Una volta Tizio tiene i figli di Caio e viceversa, non esisteva il baby–sittering inteso come servizio a ore, all'americana: quel tipo di servizio era non monetizzato. La scomparsa dei rapporti di
    reciprocità, conseguente al processo di secolarizzazione della società ed allo sviluppo economico, ha fatto sì che il moderno consumatore deve comprare sostanzialmente tutto ciò che gli occorre, così procurandogli un danno del tipo iii). Un ultimo esempio sono i costi di congestione di attività un tempo gratuite, come la pesca, che oggi spesso richiedono speciali permessi e comportano relativi oneri.

    Per quel che concerne l'aspetto positivo del processo di sviluppo, il miglioramento, in relazione al tipo i) si può pensare – ma gli esempi sono svariatissimi e conosciuti da ognuno – alla diffusione del telefono cellulare, ai personal computer e all'Internet, tanto per citare delle innovazioni rilevanti. Vi è però da dire una cosa: la maggior parte di
    queste innovazioni non si configura solamente come una “maggiore possibilità di acquisto”, poiché incorpora anche una certa necessità d'acquisto: con la diffusione del telefono cellulare ad esempio non si è avuto un miglioramento puro, dal momento che oltre ad essere possibile acquistare un simile bene, è anche necessario averlo: la sua mancanza influisce negativamente sull'utilità individuale. Ciò aiuta a giustificare l'assunzione che si è fatta secondo cui non è possibile, a livello teorico,
    che il miglioramento sia maggiore del danno durante un processo di sviluppo –
    il vincolo massimo corrispondendo ad un loro equivalersi, come espresso
    dalla condizione (R.4), su cui torneremo.

    I principali miglioramenti del tipo ii) nel periodo indagato sono quelli relativi alla caduta dei prezzi delle comunicazioni – dovuti sostanzialmente all'Internet – e dei trasporti aerei.
    Non è superfluo ricordare che, affinché si possa parlare di autentico miglioramento del tipo ii), il prezzo del bene o del servizio deve scendere, ma la qualità del bene o del servizio deve rimanere inalterata. In questo senso si comprende come il minor costo che oggi si può incontrare nell'acquisto, ad esempio, di un capo d'abbigliamento, non può essere considerato un miglioramento puro del tipo ii), poiché in generale la qualità dei tessuti e della lavorazione è peggiorata, contribuendo a diminuire la durata del bene,
    eccetera, e perciò configurando una tipologia differente dello stesso.

    Il saldo tra danno e miglioramento è considerato dalla variabile “Φ”, i cui vincoli, come detto, sono “-1” e “0”. Considerata la struttura della (R.3), per Φ = 0 abbiamo Wt = Yt; all'estremo opposto, per Φ = -1 (caso in cui il danno ha prevalso completamente sul miglioramento), avremo che Wt = 0. E' evidente che questa seconda evenienza è più teorica che pratica – si dovrebbe supporre un mondo senza più alcuna possibilità di spesa per immaginare che il reddito non comporti ricchezza –, d'altro canto è altresì difficile supporre che si verifichi il caso espresso nella (IV.6) - che chiedo venia avrei dovuto chiamare (R.6) - ossia che Φ = 0, sebbene sia la supposizione di tutta la teoria istituzionale.

    La variabile “Φ”, o variabile del potere economico, è quella che ci permette di penetrare il merito qualitativo del processo economico, e in ciò risiede la sua forza e la sua debolezza: da un lato, è evidentemente necessario l'inserimento di un termine qualitativo in un discorso che non voglia rimanere soltanto crematistico; dall'altro, ci si trova in fronte al problema fondamentale di assegnare un valore numerico ad aspetti non quantificabili con esattezza. Torneremo in seguito sulle problematiche di stima della variabile “Φ”, cercando di suggerire una direzione possibile; per il momento se ne tenga a mente il valore concettuale.

    Buona gionrnata e alla prossima.

    A. G. A.

  5. #45

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    e volevo aggiungere che mi fa piacere se quello che scrivo viene trovato interessante o utile da qualcuno! vedrete che questa serie di intervente, che ha avuto un capo, avrà anche una coda; e lascerà chi ha letto con una consapevolezza piuttosto circostanziata verso un tema, ahimé, importante, quale quello economico. e a un certo punto chiederò parere ai lettori, ci sarà dibattito, come si dice.

    ciao!

  6. #46

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    L'equazione della ricchezza: la variabile Ψ

    L'economista istituzionale a cui fossero sottoposte la categorie d'analisi con cui stiamo ragionando non avrebbe timore a sostenere che W = Y, dacché questa è l'assunzione sottostante al modello di riferimento.

    Ora, al di là dei valori che può assumere la variabile “Φ”, considerando la (R.3), si nota chiaramente che la situazione descritta dall'economista neoclassico può essere spiegata anche da un altro fatto, ovvero: Ψ = 0.

    Tecnicamente, la variabile “Ψ” determina la coscienza che l'individuo medio ha della dinamica riguardante il potere economico, “Φ”. E' logico assumere che 0 ≤ Ψ ≤ 1, con Ψ = 1 corrispondente alla situazione di piena coscienza, e viceversa.
    “Ψ” è pertanto una misura di informazione, attenzione e, in senso lato, cultura.
    Riprendendo per un attimo i termini della trattazione roegeniana, se consideriamo che la variabile del potere economico è approssimativamente assimilabile alla variabile sociale, la condizione Ψ = 0 è quella che va a spiegare perché avviene la famosa eclissi del termine “Ys”.

    Al solito, alcuni esempi aiutano a capire. Nel 1923 alcuni composti organici del piombo “furono aggiunti alle benzine per elevarne il potere antidetonante. Da allora – non essendo il metallo degradabile in alcun modo – il suo livello nell'atmosfera, nelle acque di pioggia, nel terreno, negli alimenti, perfino negli oceani e nei ghiacciai della Groenlandia e dell'Antartide si è elevato in misura impressionante (…). Nei ghiacciai della Groenlandia la concentrazione del piombo nei vari strati – corrispondente all'anno di deposito, datato
    mediante radiocarbonio – era nel 1750 doppia rispetto all'800 A.C. (0,001 microgrammi per kg, invece di 0,0005). Nel 1975, dopo appena due secoli, l'aumento registrato è di ben duecento volte (0,2 microgr./kg), segno irrefutabile del processo di dissipazione della materia messo in evidenza da Georgescu-Roegen e rivelatore, forse come nessun altro, della brusca accelerazione impressa dall'industria alla crescita di entropia sulla
    Terra. Dato il suo alto peso specifico e la bassa tensione di vapore, in condizioni naturali il piombo nell'aria dovrebbe essere praticamente zero. Nessuna specie vivente ha elaborato difese per non riceverlo dall'atmosfera (…). Ma dai motori a combustione interna il piombo viene espulso in particelle per la massima parte inferiore al micron, sotto forma di aerosol trapassante direttamente nel sangue dagli alveoli polmonari” (Sacchetti, A., L'uomo Antibiologico, Feltrinelli, Milano, 1997, pag. 31, 40). Segue una spiegazione dettagliata delle conseguenze relative finora conosciute, di cui risparmiamo l'esposizione.

    Orbene, la contaminazione da piombo è una danno della categoria ii), poiché s'è perduta la natura esente da questa sostanza – e quindi, coeteris paribus, ↓Φ –; nondimeno, se l'individuo medio non è a conoscenza del fatto, egli non avvertirà tale deperimento di ricchezza; relativamente a ciò accadrà che Ψ = 0, così da annullare il secondo termine della (R.3), e ricadere nella situazione descritta dai neoclassici.

    Più in generale, se non si è mai provato un gusto autentico non ci si può accorgere del suo deperimento.

    Detto ciò, per i danni della categoria i) - sopraggiunta rarità e aumento di prezzo -la mancanza d'attenzione è dettata dall'incessante pubblicità del rinnovamento merceologico. Tale pressione sui desideri, continuamente stimolati, fa perdere di vista al consumatore il riavvolgimento del tappeto alle sue spalle; analogamente il conformismo derivato dall'azione degli stessi mezzi di pressione rende inavvertibili i danni di tipo iii), poiché la scomparsa dei rapporti di reciprocità, o la necessità di pagare per attività un tempo gratuite vengono accettate dal consumatore come fatalità del processo secolare.

    Se, come diceva Kant, “un lemma è la proposizione che una scienza assume senza dimostrazione, desumendola da un altra scienza”, gli economisti devono ammettere che vi sono forze considerevoli, diffusamente descritte dalla psicologia sociale, che rendono verosimili valori di “Ψ” prossimi allo zero. L'assunzione dell'economia istituzionale circa il consumatore sovrano, corrispondente alla situazione Ψ = 1, è quindi quanto di più lontano dalla realtà si possa immaginare.

    Pertanto, tecnicamente, l'assunzione neoclassica secondo cui W = Y è spiegabile non tanto dal fatto che Φ = 0, ovvero che esista o meno una realtà oltre a quella che i neoclassici pretendono di descrivere, quanto piuttosto dai bassissimi valori di “Ψ”, che rendono inavvertita la dinamica relativa all'andamento del potere economico.

    Questa, che è insieme una spiegazione e una critica, non era mai stata portata alla scienza istituzionale; lo dico non per darmi delle arie, ma per richiamare l'attenzione.
    Abbiamo cioè mostrato che non è completamente erroneo quello che osservano i neoclassici (W = Y), ma si spiega per la ragione contraria a quella da loro ipotizzata. Evidentemente gli economisti neoclassici non hanno voluto assumere il lemma che la psicologia sociale e la sociologia avevano da offrire alla scenza economica, ed hanno elaborato dilettantisticamente un'assunzione di comodo - che ha finito per rendere la scienza economica poco più che una burla, anche se dai risvolti serissimi.

    Aver constatato questo ci apre un campo di analisi sostanzialmente vergine, che vedremo nei prossimi interventi, e che ci porterà a spiegare alcuni fenomeni assai reali, e visibile a "occhio nudo" da ognuno.

    Buona giornata!

    A.G.A.

  7. #47

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    L'euqazione della ricchezza: interazione tra le due variabili

    Buongiorno a tutti.

    Pur nella difficile congiuntura che attanaglia il nostro paese e la finanza in generale, andiamo avanti nelle nostre spiegazioni; che sono meno astratte di quel che possono sembrare.

    Dunque, per completare la spiegazione concetuale dell'equazione della ricchezza, resta da dire dell'eventuale relazione tra le due variabili spiegate, o comunque del loro evolversi.
    Appare giustificato dire che (R.7):

    Φt = F (Ψt-1) + εΦ,

    ossia che l'andamento periodale della dinamica riguardante il potere economico, Φt, è funzione del grado di attenzione allo stesso riscontrata all'inizio del periodo, Ψt-1. Appare ovvio; è difficile che una cosa vada bene se non ci se ne cura.
    Il termine “εΦ” indica tutti gli altri fattori che influiscono su “Φ”, oltre a “Ψ”. Il suo inserimento nella relazione si giustifica per una necessità di completezza analitica; nondimeno tale termine viene assunto nella nostra trattazione come trascurabile, altrimenti inficiando il senso di quel che vuole esprimersi.

    Conformemente a quanto sostenuto, la variabile della coscienza può invece immaginarsi così influenzata (R.8):

    Ψt=F(Φt-1;Yt-1) + εΨ,
    ¯
    ovvero relazionata in modo proporzionale al saldo tra danno e progresso – “Φ” –, e inversamente proporzionale all'evoluzione del reddito reale – “Y” –; per il termine “εΨ” vale il discorso fatto in precedenza con “εΦ”. (Il "meno" nella riga sotto l'equazione dovrebbe stare sotto "Yt-1", ma per problemi di formattazione non sono riuscito a scriverlo così).

    La spiegazione della (R.8) è presto detta: da un lato l'aumento di reddito reale, a parità di altre condizioni, è un qualcosa che influisce negativamente sull'attenzione circa l'andamento del potere economico, poiché è lecito supporre che nei momenti di crescita della ricchezza monetaria l'individuo è poco propenso a giudicare perniciosa la dinamica
    stessa che lo sta arricchendo – anche se lo sta arricchendo solo in senso crematistico; in sostanza, riteniamo che l'aumento di reddito reale abbia un effetto inebriante sull'individuo medio, sicché, a parità di altre condizioni (R.9):

    se Y↑, allora Ψ↓.

    D'altro canto, se nel periodo precedente a quello oggetto di indagine il potere economico è diminuito, le forze di mercato tendono a far sì che la coscienza diffusa non ne tenga conto: le forze che hanno prodotto uno sviluppo in cui il danno ha prevalso sul miglioramento, Φ↓, sono le stesse che hanno interesse a che l'individuo medio non si accorga di tale dinamica, per non pregiudicare il suo assenso al processo di sviluppo successivo. Così che abbiamo una situazione in cui (R.10):

    se Φ↓, allora Ψ↓.

    Dalla relazione (R.8) appare chiaro che le uniche possibilità comportanti un ridestarsi della variabile della coscienza sono la caduta del reddito medio, o un incremento del potere economico nel periodo precedente a quello indagato. Dovendosi avere prima un risveglio della coscienza affinché si possa riscontrare l'aumento del potere economico,
    per via della (R.7), è evidente che nei termini posti l'unica via d'uscita al circolo vizioso – che tende a far cadere sia “Φ” che “Ψ” – è una brusca riduzione di “Y”.

    Vi è da notare però un aspetto: non è detto che un movimento discendente di “Y” corrisponda per forza ad un aumento del valore di “Ψ”, poiché non non conosciamo la relazione tra “Y” e “Φ” – potrebbe benissimo verificarsi un periodo di recessione in cui il danno prevale sul miglioramento –, e, siccome “Ψ” dipende sia da “Y” che da “Φ”, l'effetto
    positivo dovuto alla caduta di “Y” potrebbe vanificarsi se nello stesso periodo anche “Φ” è sceso. Formalmente (R.11):

    se Y↓ e Φ↓, allora Ψ↕,

    come a dire che non siamo in grado di stimare il segno della variazione di “Ψ” al diminuire di “Y” (fintanto che “Ψ” non aumenta, “Φ” per ipotesi continua a diminuire) perché non conosciamo il peso relativo che “Y” e “Φ” esercitano su “Ψ”.

    E' per questo che abbiamo parlato di una "forte recessione" come unica evenienza che rende probabile il risveglio di “Ψ”, poiché allora ipotizziamo che l'influenza di “Y” sia determinante; ciò nondimeno, è plausibile che una recessione di tale forza sarebbe bastevole a cambiare radicalmente il contesto economico di riferimento, il ché renderebbe l'ultima affermazione quasi tautologica: l'attuale sistema economico può redimersi dal circolo vizioso lesivo del potere economico individuale se cessa di esistere.

    In sostanza, accettando le relazioni proposte, non sembrano esserci meccanismi interni in grado di riequilibrare la dinamica del sistema, lasciandone intatte le caratteristiche precipue. Parleremo più avanti (è il tema di cui vorrei dibattere coi lettori appena finita laspiegazione del modello) di quale può essere un intervento esterno in gardo di riportare la dinamica su di un percorso virtuoso.

    Adesso ci manca solo vedere questi discorsi in forma grafica e trarne delle conclusioni.

    Se ci sono domande o dubbio, o non si è d'accordo su certe affermazioni sono qua a posta per rispondere.

    Alla prossima settimana!

    A. G. A.

  8. #48
    L'avatar di Andrea Cagalli
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    Ciao caro,
    sempre molto interessante e molto esaustivo...

    Continua così!!

    Ciao Ciao

  9. #49

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    Funzione di utilità

    Riprendiamo i discorsi dopo la pausa della settimana scorsa avvenuta a causa e in concomitanza del mio compleanno (28).

    Buongiorno!

    Dunque, arrivati a questo punto, subito prima di vedere graficamente i ragionamenti, specificheremo una funzione di utilità coerente col discorso intrattenuto. Si ricorderà l'impostazione fondamentale con cui stiamo tentando di interpretare i fenomeni economici, ossia le categorie di Sforzo e Risultato e relativo grafico.
    Avevamo detto che a misura dello sforzo avremmo preso il reddito medio "Y", argomentando la scelta, e a quella del risultato la ricchezza "W", preoccupandoci di speigare tale valore, e l'utilità "U", che ora andiamo a vedere.

    Richiamando alla mente cosa sia l'utilità (si vedano gli interventi della primavera scorsa), possiamo scrivere una funzione di utilità così esplicitata (R.12):

    Ut = F (Wt ; Yt); s.t. maxUt: Wt = Yt,
    ¯

    (il meno dovrebbe essere sotto la "Yt" e non sotto "s.t.") nonché il vincolo (R.13):

    se Wn > Wm, coeteris paribus, allora Un > Um; ∀ n, m, … є (t)

    che ora andremo a chiarire.

    L'utilità dell'individuo medio al tempo “t”, “Ut”, è funzione positiva della sua ricchezza “Wt”, e funzione negativa del suo reddito reale, “Yt”. Ricordando le assunzioni di cui alla (R.3) e alla (R.4), per ipotesi “Yt” non può essere maggiore di “Wt”, sicché la migliore situazione ipotizzabile è quella che scaturisce da un loro equivalersi.

    Il vincolo (R.13) significa semplicemente che, a parità di altre condizioni, l'utilità aumenta quanto più aumenta la ricchezza; ovvero, non è influenzata solo dall'inefficienza relativa del processo di sviluppo – scarto negativo tra “Wt” e “Yt” –, ma anche in maniera positiva dai valori assoluti della prima variabile. “(t)” rappresenta l'intervallo di tempo considerato.

    La funzione (R.12) fa dipendere quindi l'utilità e da una misura assoluta, livello di “Wt”, e da una relativa, scarto tra “Wt” e “Yt”, che è un modo per tener conto dello "sforzo" messo in atto al fine di ottenere un certo risultato.
    La regola per calcolare l'utilità è pertanto esprimibile in questi termini (R.14):

    Ut = Wt – [(Yt – Wt) · Wt / Yt].

    Supponiamo di trovarci in una condizione in cui Wt = 90, e Yt = 100; allora Ut = 81.

    In pratica, si sconta alla ricchezza assoluta una misura di inefficienza – rinvenibile nella distanza tra la quantità di ricchezza teoricamente raggiungibile dato un certo livello di reddito – pesata per l'inverso della percentuale di inefficienza. Ciò consente alla (R.14) di essere sempre maggiore di zero, come è logico supporre che sia.
    (Per chi apprezza le dimostrazioni matematiche, la conferma della frase appena scritta è la seguente: a – [(b – a) · a/b] = a – [ab/b – a²/b] = a – [a – a²/b] = a – [(ab – a² /b)] = a – [a (b – a)]/ b.
    Dunque è necessario che “a” sia maggiore del secondo termine dell'equazione, e ciò si dimostra facilmente: a > [a (b – a )]/b = ab > a (b – a) = ab > ab – a² , c.v.d.).

    Con questa ultima variabile spiegata - l'utilità - siamo pronti a vedere il garfico dell'andamento economico degli utlmi quaranta anni; la prossima volta.

    Dopo di ché si potranno trarre delle conclusioni, e fare dei ragionamenti.

    Buona giornata!

    A.G.A.

  10. #50

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